CapoLavoro

Brescia, Museo di Santa Giulia - 10 ottobre / 10 dicembre 2014



opere esposte

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Opere dalla Raccolta d’Arte della Cgil, custodite nella sede della Direzione nazionale in Corso d’Italia a Roma e in Camere del lavoro territoriali, integrate da un significativo apporto dalla Galleria del Premio Suzzara fondato nel 1948 e dedicato a Lavoro e lavoratori nell’arte, raccontano come sono stati interpretati lungo un secolo condizioni e problemi del lavoro da parte di numerosi artisti italiani.

Il titolo CapoLavoro è un umile richiamo all’etimologia, alla serietà della formazione e alla piena dignità del lavoro: lontano da ogni enfasi, capolavoro era il termine che designava il prodotto dell’artigiano e dell’operaio alla conclusione del periodo di apprendistato, il saggio che ne determinava l’assunzione definitiva, l’uscita dalla condizione di incertezza e precarietà. E altrettanto nell’ambito della formazione artistica era la prova che decretava nelle accademie di belle arti l’acquisizione del bagaglio professionale. Il capolavoro legittimava l’assunzione di un ruolo nella struttura produttiva e sociale.

La mostra, voluta dalla Cgil di Brescia a quarant’anni dalla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 che colpì lavoratori riuniti per una manifestazione indetta dai sindacati, vuole riproporre lo spirito che caratterizzò già dal 1975 il Maggio culturale come risposta della città, scegliendo la cultura come aggregazione di comunità, riflessione e senso della storia. Per questo propone anche alcune opere rappresentative della centralità del lavoro come fondamento della carta costituzionale e dell’unità stessa della comunità nazionale, nell’utopia della città ideale.


Sezione introduttiva

 

Il grande studio preparatorio per La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio di Renato Guttuso (1951) è diventato l’icona della Raccolta d’Arte della Cgil: rievoca un episodio del 1860 dell’epopea garibaldina nel Regno delle Due Sicilie (al Ponte dell’Ammiraglio Garibaldi si aprì la via di Palermo), ma lo proietta nel mito di un nuovo Risorgimento, nelle battaglie politiche e sindacali della sinistra italiana del secondo dopoguerra. Guttuso dava una risposta di grande comunicazione alle questioni di un nuovo realismo, come se gettasse anche la pittura nella mischia con una pulsione impetuosa di vita, concitata e aggressiva.

Il Ritratto di Giuseppe Di Vittorio eseguito da Carlo Levi nel 1952, ricorda lo storico dirigente sindacale che attribuì agli artisti una funzione educativa: “Perché il popolo possa elevarsi al livello di civiltà a cui noi vogliamo portarlo ha bisogno di voi, ha bisogno delle vostre creazioni, ha bisogno dell’arte (…) Noi vogliamo abbattere il muro che ancora separa l’arte e la cultura dalla grande maggioranza del nostro popolo” (1953).

1 – Renato Guttuso , La Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio, 1951, olio su carta intelata, 150,7×208 cm 2 – Carlo Levi , Ritratto di Giuseppe Di Vittorio, 1952, olio su tela, 60,8×50 cm

 


Sezione I:
Il lavoro nella prima metà del Novecento

 

Prima l’avvento del fascismo, poi la Seconda guerra mondiale: quasi tutte le opere della prima metà del ‘900 delle Camere del lavoro sono andate disperse o distrutte.
I pochi esempi in mostra permettono di passare dalla Filatrice di Emma Bonazzi, opera intimista che si inserisce nella realtà di un’Italia che visse a lungo il lavoro femminile fuori dalle mura domestiche come una minaccia per l’unità della famiglia e per l’integrità della società, alla visione della vita dei pescatori
della laguna veneziana di Cagnaccio di San Pietro in Lacrime della cipolla e nel trittico Madre: la vita, il dolore, la gloria quali poveri predestinati alla fatica e al dolore, alla lavandaia di Sera sull’Arno di Baccio Maria Bacci ed agli Scaricatori di Lorenzo Viani che sono ancora i lavoratori a “schiena curva” tramandati dal verismo ottocentesco.

Ma opere come Viadotto di Lino Perissinotti e Ricostruzione del regime a Napoli di Guido Casciaro ricordano il culto novecentista della forma che cristallizza la vita quotidiana e insieme il fervore fascista di imprese pubbliche di sventramenti e risanamenti urbani, mentre l’astrazione da balletto meccanico de Il lavoro di Tato, ci offre una visione di slancio vitalistico del lavoro nell’ambito del secondo futurismo.

1 – Emma Bonazzi , La filatrice, 1919, olio su tela, 115×100 cm
2 – Cagnaccio di San Pietro, Trittico Madre: la vita, il dolore, la gloria, 1923, olio su tela, 140×299 cm 3 – Cagnaccio di San Pietro, Lacrime della cipolla, 1929, olio su tela, 106×96 cm
4 – Lorenzo Viani , Gli scaricatori, 1930, olio e tempera su compensato, 60×85 cm
5 – Tato (Guglielmo Sansoni), Il lavoro, 1930, olio su tela, 170×190 cm
6 – Baccio Maria Bacci , Sera sull’Arno, 1934, olio su tela, 153×127 cm
7 – Lino Perissinotti , Viadotto, 1934, olio su compensato, 52,2×61 cm
8 – Guido Casciaro , Ricostruzione del regime a Napoli, 1936, olio su tela, 126 x 107 cm


Sezione II:
Il lavoro nei campi e nelle risaie

 

La sezione che apre la riflessione sul dopoguerra è legata al tema della terra, sia per l’importanza del mondo rurale nella nostra società, che per il peso iconografico che il lavoro agricolo ha espresso nella vicenda culturale artistica. La sezione si apre con la forza del Contadino di Renato Birolli, ancora legato
alla figurazione, e tuttavia già in procinto di muoversi stilisticamente verso quell’informale cui approda di lì a poco.

Nella sezione convivono opere neorealiste di intenso rigore (dal Bracciante siciliano di Saro Mirabella, alla Lunga strada di Ernesto Treccani, dalle Mondine di Giuseppe Migneco e Aldo Borgonzoni, cadenzate sui ritmi di un Picasso ritrovato, alla pagina epica di Gabriele Mucchi), con opere di diversa ispirazione culturale, come La grande aratrice di Armando Pizzinato, pagina peculiare nell’intera rassegna.

Col trascorrere del tempo, si fa evidente il progressivo distacco dai ritmi neorealisti, attraverso le opere di autori come Karl Plattner, Contadine, con il suo segno e la sua iconografia neogotica, o come Giuseppe Zigaina , Mio padre che ascolta, che riscopre il mito attraverso la figura del padre contadino.

Da sottolineare l’importante presenza bresciana, espressa in questa sezione dalle opere di Anna Coccoli, Iros Marpicati, ascrivibile all’iconografia del “Realismo esistenziale”, e Luciano Cottini.

1 – Renato Birolli , Contadino e pannocchia, 1946, olio su tela, 60×50 cm
2 – Armando Pizzinato , La grande aratrice, 1949, olio su tela, 64×53,5 cm
3 – Saro Mirabella , Bracciante siciliano, 1954, matita grassa su carta, 71,1×49,8 cm
4 – Marcello Muccini , s.t., 1952, tecnica mista su carta, 65×95 cm
5 – Ernesto Treccani , La lunga strada, 1951, olio su tela, 102,5×143 cm
6 – Franco Francese , Contadina che mangia, 1954, olio su tela, 115,8×96,3 cm
7 – Giuseppe Migneco , Mondine, 1952, olio su tela, 90×70 cm
8 – Aldo Borgonzoni , Mondine, 1949, olio su tela, 53×98,5 cm
9 – Gabriele Mucchi , La morte di Maria Margotti, 1949, tecnica mista su tela, 85×160 cm 10 – Iros Marpicati , Donna con vinchi, 1959, olio e carboncino su tela, 150×100 cm
11 – Gino Gandini , Lavoro in collina, 1970, olio su tela incollata su legno, 150×100 cm
12 – Anna Coccoli , Raccolta delle olive, 1954, olio su tela, 120×73 cm
13 – Luciano Cottini , Contadini che macellano il maiale, 1969, olio su tela, 100×120,5 cm 14 – Pablo Serrano , Il giogo, 1957, scultura in ferro, 70x60x40 cm
15 – Karl Plattner , Le contadine, 1964-65, olio su tela, 95×196 cm
16 – Giuseppe Zigaina , Mio padre che ascolta, 2005, olio su tela con collage, 148×110 cm


Sezione III:
Il lavoro sul mare, sulle strade, in miniera

 

La sezione si apre con alcune pagine di notevole intensità poetica di stampo neorealista, ad iniziare dai Pescatori di Ugo Attardi e di Giovanni Omiccioli, in cui si evidenzia chiaramente il riferimento politico, fino alle Saline di Saro Mirabella e allo Spaccapietre di Armando Pizzinato, un sorta di ideale omaggio all’opera distrutta di Courbet, per svilupparsi successivamente con opere di impianto denotativo e tuttavia non più ascrivibili alla cultura neorealista, come si può leggere negli Uomini del Po di Giuseppe Zigaina e negli Stradini di Giansisto Gasparini. Il passaggio verso altre tendenze figurative si può leggere nella
Costruzione della casa di Giuseppe Martinelli, già immersa nel clima poetico del Realismo esistenziale. Lo sviluppo figurativo trova voce, alta voce, sia nel Cantiere di Pino Ponti, che nello straordinario Costruzioni. Ricordi del sottuosolo di Sergio Sarri, I premio nell’edizione del 1967 del Premio Suzzara. Opera peculiare in questa sezione è sicuramente la Miniera di Giulio Turcato, una carta datata 1949, quando Turcato non aveva ancora scelto la linea astrattista, ma già ne lascia avvertire l’umore; singolare e abbastanza unica nella sua intera produzione anche la Miniera del pittore bresciano Oscar Di Prata.

1 – Ugo Attardi , Pescatori, 1952, olio su tela, 72,3×92 cm
2 – Giovanni Omiccioli , Protesta di pescatori, 1949/50, olio su tela, 42×64 cm 3 – Saro Mirabella , Saline, 1952, olio su tela, 90×116 cm
4 – Giuseppe Zigaina , Uomini del Po, 1951, olio su tavola, 59,1×46,7 cm
5 – Marino Mazzacurati , s.t., 1952, Bassorilievo in bronzo, 46x57x2 cm
6 – Armando Pizzinato , Spaccapietre, 1950, olio su tavola, 189×76
7 – Giansisto Gasparini , Stradini, 1952, olio su tela, 118,2×80,7 cm
8 – Giuseppe Martinelli . Costruzione della casa, 1959, olio su tela, 161×140,5 cm
9 – Pino Ponti , Entrata al cantiere, 1957, olio su tela, 100×170 cm
10 – Sergio Sarri , Costruzioni. Ricordi del sottosuolo, 1967, acrilici su tela, 100×270 cm 11 – Giulio Turcato , Miniera, 1948, tempera su carta, 62,5×44,5 cm
12 – Oscar Di Prata , Attesa alla miniera, 1957, olio su tela, 100×79 cm


Sezione IV:
Il lavoro in fabbrica, l’emigrazione

 

La sezione dedicata al mondo del lavoro in fabbrica appare meno ricca di figure, nei confronti del mondo contadino e urbano; sono i riferimenti della cultura figurativa, molto legata alla grande tradizione ottocentesca e primo novecentesca. Alcune pagine straordinarie di Paolo Ricci, Italsider di Bagnoli e Raffineria sotto il Vesuvio, evidenziano (e anticipano) il nodo dell’industrializzazione meridionale; appaiono inseribili nel clima di un realismo, riletto attraverso il filtro picassiano, le tele di Nello Leonardi, che sottolinea l’impianto politico della sua opera.

Collocabile nella cultura della fabbrica è il “viaggio al Nord” che i contadini meridionali compiono negli anni cinquanta, qui riletti attraverso la significativa intensità emotiva dell’opera di Alberto Sughi, collocata alla metà del decennio, che funge da spartiacque nei confronti della vicenda figurativa italiana e dà avvio a quella stagione che culminerà con il Nostro “miracolo economico”.

1 – Giovanni Governato , Donne spezzine per l’Oto Melara, 1951, olio su tela, 145×296 cm
2 – Nello Leonardi , Operai, 1947, olio su tela, 61×80 cm
3 – Nello Leonardi , Asssemblea (Congresso della pace alle Reggiane), 1950-51, olio su tela, 70×92 cm 4 – Pietro Martina , Tessitrice n. 2, 1952, olio su tela, 100×120 cm
5 – Liana Sotgiu , La stiratrice, 1952, olio su tela, 65×54 cm
6 – Paolo Ricci , La raffineria sotto il Vesuvio, 1954, olio su tela, 61,5×70 cm
7 – Paolo Ricci , Italsider di Bagnoli, primi anni cinquanta, olio su tela, 38,5×48,5 cm
8 – Colombo Manuelli , Metalmeccanici, 1980, tute e maschere da lavoro su plexiglass, 200×150 cm
9 – Luigi Guerricchio , Emigranti del Sud, 1973, tecnica mista su carta, 48×65 cm
10 – Alberto Sughi , Famiglia di emigranti, 1955, olio su tela, 100×141 cm


Sezione V:
Il lavoro che cambia

 

Si fa strada la nuova figurazione che rimedita e assorbe anche esperienze segniche e materiche dell’informale, oltre che dei nuovi media, da Titina Maselli, Autista di Piazza e Inseguimento, a Giovanni Cappelli, Fiera di Senigallia a Giangiacomo Spadari, Racconto. A partire dagli anni Sessanta, l’avanzata della modernità coincide con l’ideologia del consumismo e dei linguaggi della comunicazione di massa, la Pop Art fa intendere il dominio della merce sulle coscienze.. Nel campo del lavoro, l’Italia non dà più braccia alle industrie estere, sono i prodotti e lo stile italiano che si affacciano sugli altri mercati. L’oggetto del lavoro prende il posto della figura umana nella Macchina calcolatrice di Bepi Romagnoni o in Picchia tre volte di Concetto Pozzati. Si rivisita anche un tema antico, il pane, in Perez, Pescatori, Gianquinto, ma come pretesto per un bilancio perplesso sulle lotte per la conquista della dignità e del lavoro, mentre nuove istanze di gestione e partecipazione “dal basso” investono la società dopo il Sessantotto, come ricorda la Manifestazione di Ennio Calabria.

1 – Titina Maselli , Autista di piazza, 1950, olio su tavola, 49,8×75 cm
2 – Bepi Romagnoni , Macchina calcolatrice, 1956, olio su tavola, 60×90 cm
3 – Giovanni Cappelli , Fiera di Senigallia, 1959, olio su tela, 150,5×190 cm
4 – Giangiacomo Spadari , Racconto, 1963, olio e tecnica mista su tela, 90×100 cm
5 – Concetto Pozzati , Picchia tre volte, 1964, olio e acrilico su tela, 101×120 cm
6 – Carlo Pescatori , Il costo del pane, 1968, acrilici su tela, 160,2×90,3 cm
7 – Alberto Gianquinto , Il pane, 1988, olio su tela, 90×100 cm
8 – Augusto Perez , Ragazzo con pane, 1957, bronzo, 61x88x82 cm
9 – Ennio Calabria , Manifestazione, 1973, acrilico su tavola, 80×160 cm
10 – Mario Ceroli , 1890-1990 Primo Maggio, 1990, scultura in bronzo, legno e marmo, 75x45x41,5 cm 11 – Titina Maselli , Inseguimento I, 1998, olio su tela, 89×115,7 cm
12 – Alessandro Di Giambattista , Sindone dell’operaio, 2001, grasso industriale su tela, 79,2×169,5 cm


Sezione VI:
Una storia non chiusa

 

L’uso della tecnica al servizio della produzione, già vissuto come possibilità di riscatto e trasformazione sociale, ora invece è temuto per le drammatiche contraddizioni dell’avanzante automazione che falcidia la forza lavoro chiamata, più che a trasformare materie, ad assemblare prodotti. I nuovi lavori raccontano la condizione precaria, il lavoro parcellizzato e a tempo.

Nelle arti visive si frantuma o dissolve la rappresentazione, proprio come capita alle tipologie e alle modalità del lavoro , fino alla sua distillazione in umore sottile, quasi impalpabile nei pastelli di Guccione de L’ombra nera sul paesaggio (per Portella della Ginestra) del 2007, e Fratelli d’Italia del 2011, nel centocinquantesimo dell’Unità d’Italia.
È la fotografia che cerca di riannodare i fili di una storia, come nei montaggi di Gea Casolaro, 2005, sulle lotte per il lavoro e per vecchi e nuovi diritti di cittadinanza.
Ma intanto il popolo che si compattava progressivamente ne L’attesa di Juan Genovès, 1965, ormai è parcellizzato, disperso. E la fabbrica è sì protagonista, ma come reperto archeologico, come nei Due Silos di Valeria Cademartori, 2006, o nel grande trittico IV dimensione di Jonathan Guaitamacchi, 1997, epica in bianconero della rovina di quello che fu un grande perno industriale nel cuore di Milano, alla Bovisa.

Il vento si scaglia contro le cose di Ennio Calabria, 2005, insegue il lavoratore in una figura agitata dai fantasmi dell’inconscio.
l tema dell’utopia della comunità armonica costruita attraverso il lavoro è affidato a chiusura del percorso alla Città ideale di Walter Valentini, 1988, e al gigantesco trittico di Emilio Tadini Reggio Emilia del 1988.

1 – Juan Genovés , L’attesa, 1965, olio su tela, 120×110 cm

2 – Piero Guccione , L’ombra nera sul paesaggio (per Portella della ginestra), 2007, pastelli su carta, 22×36 cm

3 – Piero Guccione , Fratelli d’Italia, 2011, pastelli e tecnica mista su carta, 22x48cm

4 – Valeria Cademartori , Due silos, 2006, pomice e olio su tela, 80×125 cm

5 – Gea Casolaro , Sopra il nostro futuro (Condizione femminile #2), 2005, 4 stampe lambda a colori montate su pannello d’alluminio , 60x80x2 cm

6 – Gea Casolaro , Mille storie, una lotta #4, 2009, stampa fotografica a colori da digitale montata su pannello d’alluminio, 44,4x30x2 cm

7 – Jonathan Guaitamacchi , IV dimensione, 1997, trittico, tecnica mista su carta, 311×396 cm 8 – Ennio Calabria , Il vento si scaglia contro le cose, 2005, acrilico su tela, 160×120 cm
9 – Emilio Tadini , Reggio Emilia, 1988, trittico, acrilici su tela, 200×394 cm
10 – Walter Valentini , La città ideale, 1988, tecnica mista su tavola, 90×90 cm



In occasione dell'anniversario dei quarant'anni dalla Strage di Piazza della Loggia

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