CapoLavoro

Brescia, Museo di Santa Giulia - 10 ottobre / 10 dicembre 2014



Introduzione

 

Ci si interroga oggi sulla natura del lavoro, drammaticamente: il lavoro che è diventato precario, a tempo, flessibile, marginale, che espone a una nuova insicurezza e a una nuova povertà nella sua volatilità, o viceversa il lavoro che fa balenare una nuova ricchezza (per ora illusoria per i più) nella mobilità e nella pluralità di ambiti e di esperienze. Ma qual è stata la percezione del lavoro nell’ultimo secolo nel contesto della pittura italiana?

Una selezione mirata di opere dalla Raccolta d’Arte della Cgil, integrata da un significativo apporto dalla Galleria del Premio Suzzara, permette di raccontare per exempla ciò che siamo diventati in relazione a quello che il lavoro manuale, la fabbrica e le macchine hanno dato all’uomo: non hanno cambiato solo il modo di produrre, ma anche il modo di vivere di tutta la società.

È una riflessione sull’immaginario collettivo, sulla persistenza di mitologie, convenzioni e tipizzazioni iconografiche oltre la stessa evoluzione della realtà quotidiana delle condizioni del lavoro e dei lavoratori, e viceversa sulla loro rapida dissoluzione, sulla scomparsa stessa – o quasi – del tema del lavoro e della figura del lavoratore dalla scena dell’arte.

La mostra, a cura di Mauro Corradini e Fausto Lorenzi, è nata per iniziativa della Cgil di Brescia nel quarantennale della strage di piazza della Loggia.
La bomba del 28 maggio 1974 fu fatta esplodere durante una manifestazione sindacale unitaria per colpire direttamente i lavoratori e le loro rappresentanze, raccolte in piazza a difesa della democrazia e della temperie antifascista da cui nacque la Costituzione: oggi si chiede alla cultura come aggregazione di comunità, riflessione e senso della storia, di interrogarsi sulla dignità del lavoro.

Lo storico segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio, incontrando nel 1953 pittori e scultori del Sindacato artisti, attribuiva loro una funzione educativa: “Perché il popolo possa elevarsi al livello di civiltà a cui noi vogliamo portarlo ha bisogno di voi, ha bisogno delle vostre creazioni, ha bisogno dell’arte (…) Noi vogliamo abbattere il muro che ancora separa l’arte e la cultura dalla grande maggioranza del nostro popolo”.

Queste parole fanno ben capire perché la Cgil abbia cercato non sporadicamente l’incontro con gli artisti e perché continui ancora oggi ad alimentare la sua Raccolta d’arte.
La mostra permette, attraverso una settantina di opere, di accompagnare il cammino del nostro popolo da un’Italia povera e rurale, preindustriale, in cerca di pane anche nell’emigrazione, alla celebrazione dell’eroismo dei costruttori del mondo nuovo, al realismo che celebra il lavoro come aspra fatica ma anche progresso, all’avvento della fabbrica come paesaggio moderno, alle lotte bracciantili e sindacali del secondo dopoguerra, alla scomparsa del lavoro tradizionale, alla città-fabbrica come paesaggio di rovine e non-luogo.

In particolare gli artisti del secondo dopoguerra che raccontarono il lavoro e i lavoratori si divisero fra realisti sociali e astratto-concreti, ma nella comune tensione morale, nel bisogno di adesione alla vita, in una stagione di grandi speranze, ansie e vitalismi. Perciò problemi strettamente formali furono dibattuti nell’asprezza dei contrasti sociali e politici.

Le opere sono state scelte non per gli intenti ideologici o propagandistici, anche di un condivisibile riscatto dei lavoratori, ma come documenti interamente sociali ed esteticamente significativi, cercando di evidenziare il modo con cui gli artisti hanno

visto i lavoratori, sentito il loro destino, pensato il loro ruolo in fasi diverse della società italiana.

Il titolo CapoLavoro è un umile richiamo all’etimologia, alla serietà della formazione e alla piena dignità del lavoro: lontano da ogni enfasi, capolavoro era il termine che designava il prodotto dell’artigiano e dell’operaio alla conclusione del periodo di apprendistato, il saggio che ne determinava l’assunzione definitiva, l’uscita dalla condizione di incertezza e precarietà. E altrettanto nell’ambito della formazione artistica, era la prova che decretava nelle accademie di belle arti l’acquisizione del bagaglio professionale. Il capolavoro certificava la competenza, legittimava l’assunzione di un ruolo nella struttura produttiva e sociale.

Nel presente sia l’operaio che l’artista non riconoscono più il senso del proprio sapere e del proprio agire, devono cercare nuove connessioni, così come le tensioni culturali non trovano più espressione collettiva. Il problema è comune: di regole del mestiere e delle sue tecniche per i lavoratori ridotti alla stessa atopia delle merci; di forma che è ordine per gli artisti nel restituire una relazione, un senso, tra persone, cose, luoghi, spazi.

Poiché la selezione è basata esclusivamente sulle opere a tema esistenti in due raccolte, è molto limitata per i primi decenni del Novecento, molto addensata sugli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, più diradata per i decenni successivi.

È una raccolta significativa di un percorso che rappresenta un frammento, non limitato, della ricerca artistica italiana – soprattutto nel secondo Novecento, da Cagnaccio a Viani, da Birolli a Guttuso, da Levi a Migneco, da Pizzinato a Turcato, da Sughi a Romagnoni, da Plattner a Francese, da Pozzati a Ceroli, da Zigaina a Guaitamacchi, da Tadini a Valentini.

La Raccolta d’Arte custodita nella sede della Direzione nazionale Cgil, in Corso d’Italia a Roma, coordinata con le opere conservate nelle Camere del lavoro territoriali (tra queste, una particolarissima fisionomia mantiene Reggio Emilia, che cura una sua raffinata selezione, anche con specifiche commesse) non è vincolata alle tematiche del lavoro: attraverso donazioni e acquisizioni mirate è attenta al lavoro proprio degli artisti nel configurare i temi della vita contemporanea.

Esplicitamente ancorato al tema Lavoro e Lavoratori nell’arte è invece il Premio Suzzara, fondato nel 1948 da Dino Villani e Tebe Mignoni incoraggiati da Cesare Zavattini e di fondamentale rilievo nazionale fino agli anni Sessanta, con gli organizzatori che invitavano a ricondurre i quadri e le sculture dei partecipanti “nella comune attività e nei comuni bisogni”.

I conservatori delle due raccolte, Patrizia Lazoi per la Cgil e Marco Panizza per la Galleria del Premio Suzzara, sono stati determinanti nella preparazione della mostra e in catalogo specificano vicende e ragioni delle collezioni di loro competenza.

La mostra è accompagnata da numerosi eventi collaterali tutti legati al tema del lavoro: dibattiti, proiezioni cinematografiche, proposte per le scuole.



In occasione dell'anniversario dei quarant'anni dalla Strage di Piazza della Loggia

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